La ricerca italiana da decine d’anni sostiene che l’extra vergine di oliva sia tra gli oli consigliati per la frittura. Oggi finalmente concorda anche l’USDA, aprendo nuove prospettive di mercato a un prodotto unico, fiore all’occhiello del made in Italy.
Sfatata l’idea che l’olio extra vergine di oliva (OEVO) non possa essere usato per la frittura. Ma lo sapevano da molto tempo i ricercatori italiani! Già negli anni ‘70-’80 primi studi dimostravano la maggiore stabilità dell’OEVO sugli oli di semi polinsaturi. Successivamente, grazie alle ricerche pubblicate negli anni 2002-2006 dall’Università di Napoli Federico II si è dimostrato non solo che il fritto in OEVO è meno ossidato ma anche che può essere considerato un vero e proprio ‘”fried functional food”.
Queste ricerche sono state poi suffragate nel tempo da quelle greche (Horokopio Univerity di Atene) e spagnole. E finalmente, nel settembre di quest’anno, anche l’agenzia governativa che garantisce la sicurezza alimentare ai cittadini americani (USDA) ha inserito l’extravergine tra gli oli ad “alto punto di fumo” e quindi sicuro per la frittura, al pari dell’olio di girasole, di mais e di sesamo.
La decisione dell’USDA avviene dopo che l’UNESCO ha riconosciuto la “Dieta Mediterranea” quale Patrimonio dell’Umanità, con un ruolo da protagonista dell’OEVO, e in un momento in cui l’interesse crescente dei consumatori verso sostenibilità e salute alimentare, ne aprono nuovi sbocchi di mercato oltre oceano.
A dare il “La” agli studi che hanno portato a conoscenze sempre più approfondite sulla chimica della frittura e sulle proprietà dell’extra vergine di oliva, è stato un piccolo gruppo di ricercatori del Dipartimento di Agraria dell’Università campana, coordinato dal prof. Raffaele Sacchi, responsabile scientifico del progetto COMPETiTiVE, sostenuto da Ager.
“Per la prima volta - racconta il professor Sacchi - studiammo sia l’evoluzione delle molecole volatili durante il riscaldamento e la frittura che quella dei polifenoli dell’OEVO nella crosta durante la frittura. Con il proseguo delle ricerche, condotte anche all’interno di COMPETiTiVE, siamo poi riusciti a dimostrare che nella crosta delle patate fritte con l’extravergine vengono assorbiti anche i polifenoli contenuti nell’olio, conferendo ai cibi fritti un significativo e importante contenuto di composti benefici per la nostra salute, accanto a un’alta digeribilità.”
“Che la USDA riconosca ciò è sicuramente una grande soddisfazione per la ricerca agro-alimentare italiana e una grande prospettiva per il mercato” - continua il prof. Sacchi. “A questo proposito, ricordo che uno dei primi lavori scientifici che dimostrava proprio la superiorità dell’olio extravergine in frittura rispetto a soia e girasole, fu da noi inviato per la pubblicazione a una delle più prestigiose riviste americane del settore degli oli e grassi. Dopo oltre un anno di revisioni delle bozze, l’editore rifiutò senza motivo la pubblicazione dell’articolo, a mio parere per evitare che l’OEVO potesse competere, con quelli (estratti al solvente e rettificati) di soia, colza e girasole. Rispondemmo che “saecula seculorum” nei paesi del Mediterraneo si è fritto così! Ma evidentemente c’erano interessi industriali a non far entrare l’OEVO nel mercato americano dei ‘frying oil’. E’ tanta oggi - conclude il professor Sacchi - anche se arriva a capelli grigi (pochi!), la soddisfazione per quanto ha fatto e sta facendo la ricerca italiana per la valorizzazione del nostro olio”.
Ma quali sono i vantaggi nutrizionali legati all’uso dell’extravergine in frittura? Come migliora la digeribilità? E quali sono i cibi a cui abbinarlo in frittura? Lo scoprirete tra pochi giorni nel nostro prossimo articolo.
A cura di
Progetto COMPETiTiVE
Pubblicazioni scientifiche
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Dai ricercatori di COMPETiTiVE una proposta che promuove la Dieta Mediterranea, incoraggiando la filiera agroalimentare verso prodotti sani e sostenibili
“Valorizzazione di claims salutistici e correlazione con la shelf life dell’EVOO”. Questo il titolo del dottorato di ricerca a carattere industriale attivato grazie ai risultati del progetto COMPETiTiVE. Si tratta di un percorso triennale che sviluppa un’idea per soddisfare le esigenze di un’impresa, nel caso specifico l’azienda olearia Agridè S.r.l., finalizzando un percorso formativo in collaborazione con l’Università di Bari Aldo Moro e confluito nel corso di dottorato in “Scienze del Suolo e degli Alimenti”, XXXVI ciclo.
A frequentare il dottorato sarà la dott.ssa Dora Desantis, biologa e direttrice del laboratorio analisi dell’azienda Agridè S.r.l. che conduce con i fratelli. L’idea di promuovere il percorso è stata stimolata dalla campagna di informazione capillare sugli obiettivi e sui risultati conseguiti dal progetto COMPETiTiVE, che hanno destato l’interesse dell’azienda. Grazie al Dottorato si potranno studiare e mettere a punto concrete modalità di applicazione dei claims salutistici agli oli pregiati che Agridè S.r.l. produce, definendo un modello applicabile anche ad altre aziende interessate. Tutor di tesi sono la prof.ssa Filomena Corbo e la prof.ssa Maria Lisa Clodoveo, che in COMPETiTiVE hanno condotto numerosi studi proprio sugli health claims, in particolare per valorizzare le proprietà sensoriali e salutistiche degli oli extravergini di oliva.
Il dottorato porterà innovazioni al settore e permetterà di valorizzare ulteriormente i risultati di COMPETiTiVE dopo il termine del progetto, sostenendo lo sviluppo dei territori a vocazione olivicola e realizzando così uno degli obiettivi delle Fondazioni di origine bancaria che aderiscono ad Ager.
E’ noto da un po’ di tempo che alcuni acidi grassi mediano l’attività antivirale sebbene attraverso meccanismi diversi e non sempre noti. In generale le loro proprietà antimicrobiche si concentrano sulle membrane della cellula del microorganismo scatenando contro di essa radicali liberi, formazione di perossidi lipidici citotossici, oppure metaboliti immunomodulatori. Acidi grassi liberi, come acidi oleico, arachidonico e linoleico, hanno in passato dimostrato di poter inattivare l’involucro di herpes virus e virus dell’influenza.
E’ inoltre noto che l'introduzione di acido linoleico o acido arachidonico nelle cellule infette, riduce significativamente la capacità riproduttiva del virus HCoV-229E, un coronavirus che infetta sia l’uomo che i pipistrelli, molto simile al SARS-CoV-2, agente eziologico del Covid-19.
Ma andiamo con ordine. Affinché la cellula ospite si infetti con il virus SARS-CoV-2, occorre che una componente critica della glicoproteina virale Spike (S) che si trova su tutti i coronavirus, nota con la sigla RBD (Receptor Binding Domain), entri in contatto con un recettore della cellula ospite noto come ACE2. Quest’ultimo è un recettore tipico di cellule che troviamo nelle vie respiratorie umane e di altre specie, ma anche in apparato digerente di vari organismi, compreso il pesce. Una volta entrato in contatto col recettore ACE2, il virus riesce a trasferire il proprio nucleo all’interno della cellula ospite, infettandola. E’ proprio su tale meccanismo che agiscono i vaccini, ossia inducendo la produzione di anticorpi che vadano ad intercettare una delle proteine della superficie virale (proteina S o Spike), affinché questa non possa entrare in contatto col recettore ACE2.
In un recentissimo studio condotto da ricercatori polacchi dell’Università di Cracovia (Ana Goc, Aleksandra Niedzwlecid e Matthias Rath), è stato dimostrato che gli acidi grassi polinsaturi omega-3 a lunga catena (PUFA), tipici dei prodotti ittici, sono in grado di inibire proprio questo tipo di contatto. I ricercatori polacchi hanno effettuato varie prove, utilizzando anche forme di pseudo-virus, osservando che prevalentemente l’acido linolenico, l’acido linoleico e l’acido eicosapentaenoico (EPA) inibiscono l’attacco di virioni SARS-CoV-2 al recettore ACE2. Sebbene occorrano altri studi in vivo per valutare l’effettivo livello di protezione che se ne può ottenere, sembra ormai accertato che una dieta ricca di pesce possa costituire una barriera di difesa contro alcuni virus patogeni, tra i quali il SARS-CoV-2, ossia l’agente eziologico della sindrome tristemente nota come Covid-19.
Marco Saroglia