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Dal suolo al campo

Actinidia in Calabria: una coltura dai risultati sorprendenti minacciata della moria del kiwi

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Il progetto SOS-KIWI: un’alleanza nazionale per contrastare la “moria del kiwi” e salvaguardare una coltura vitale

 

L’actinidia è comparsa in Calabria agli inizi degli anni Ottanta a seguito di prove sperimentali per verificarne l’adattamento. Il primo areale di prova è stato quello della piana di Gioia Tauro (R. Calabria), ove la coltura da subito ha espresso eccellenti potenzialità produttive grazie alle ideali condizioni del suolo fertile, oltre al clima caldo umido. Successivamente, seppur in misura minore, la coltura si è diffusa nella piana di Lamezia (Catanzaro) e di Sibari (Cosenza).

 

Crescita esponenziale della coltivazione

 

Negli ultimi decenni, la superficie destinata alla coltivazione dell’actinidia in Calabria è più che raddoppiata, passando da 1.056 ha nel 2010 a 2.562 ha nel 2020. L’incremento delle superfici coltivate a kiwi ha visto, parallelamente, quello del numero di aziende interessate a questo tipo di coltura passando da 473 unità nel 2010 a 959 unità nel 2020.

 

Vantaggi economici e varietà 

 

Relativamente alla distribuzione regionale, la grande vocazione del territorio della Piana di Gioia Tauro e Rosarno (RC), ha fatto concentrare in questa area più dell’88% della superficie coltivata ad actinidia. In termini di quantità, secondo quanto riportato da Istat Agricoltura, si è passati da 17.003 tonnellate di produzione raccolta nel 2010 a 27.580 tonnellate nel 2023, con produzioni che in alcuni anni hanno superato le 42.000 tonnellate di prodotto, come è stato rilevato nel 2020 e 2021. Questi dati confermano la grande vocazionalità delle aree di coltivazione calabresi, unitamente alla grande variabilità osservata negli ultimi anni.
L’espansione della coltura nella piana di Gioia Tauro e Rosarno è stata favorita dalla crisi economica dell’agrumicoltura da industria, dall’alta redditività dell’actinidia e da un basso numero di trattamenti antiparassitari necessari per l’ottenimento di produzioni di qualità, almeno fino allo scorso decennio. Da un punto di vista varietale alla tradizionale cultivar a polpa verde (Hayward), che nel 2010 rappresentava il 90% del totale, si sono affiancate con un trend crescente le cultivar a polpa gialla (Jintao, Soreli, Dorì e G3).

 

Contrastare la “moria del kiwi” con le ricerche del progetto SOS-KIWI

 

I dati riportati mostrano il grande successo dell’actinidia in Calabria, sia in termini di superficie coltivata e aziende coinvolte, che in termini di qualità e quantità prodotta, con un trend che fino allo scorso anno si è visto in crescita.

Tuttavia, la coltura risulta gravemente minacciata della sempre più rapida diffusione di una pericolosa sindrome che porta al completo disseccamento della pianta: la “moria del kiwi”. Infatti, nel resto d’Italia già da diversi anni si assiste ad impianti di actinidia completamente distrutti dalla moria. Le prime segnalazioni sono avvenute nel 2012 in Veneto e poi in Piemonte. Il decorso della sindrome è stato così rapido da far riportare per il 2020 una stima delle superfici colpite pari all’80% per il Veneto, 60% per il Piemonte e 10% per il Friuli Venezia-Giulia, con circa il 25% della superficie colpita in Italia e segnalazioni anche in Lazio e Calabria a partire dal 2020.

A fronte dell’importanza della coltura e della gravità della sindrome, al fine di mettere a punto sistemi di lotta efficaci per contrastare la moria del kiwi nasce “SOS-KIWI”, un progetto di ricerca triennale sostenuto da Ager – Agroalimentare e ricerca.

Considerando che l’actinidia risulta essere per la frutticoltura italiana una tra le poche specie che garantisce una buona remunerazione e osservando una non facile sostituibilità della coltura, a causa degli elevati costi di impianto e delle importanti e specifiche strutture di sostegno, la necessità di trovare soluzioni vincenti per il contrasto alla moria attraverso il progetto “SOS-KIWI” riveste una priorità assoluta per tutto il comparto agricolo nazionale e in particolare per l’agricoltura calabrese.

In questo ambito, l’Università di Reggio Calabria, quale partner del progetto, si sta impegnando ad effettuare uno screening sul campo delle piante affette da moria (attraverso isolati microbici, suolo, sezioni di piante, DNA, RNA), ad indagare i meccanismi coinvolti nell’induzione della moria, con particolare riferimento all’interazione tra la pianta ospite e il microbioma del suolo e a valutare gli impatti economico ambientali della sindrome attraverso l’utilizzo delle metodologie Life Cycle (LC).

 

A cura di Emanuele Spada, referente comunicazione SOS-KIWI, Università di Reggio Calabria

Foto di copertina: Mario Auddino

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