Una bioraffineria che riutilizza le biomasse provenienti dalle fecce e dalle acque di lavaggio dei locali e degli impianti enologici per trasformarle in energia elettrica e recuperare idrogeno. Non è fantascienza, ma il risultato di anni di ricerche di un progetto Biovale sostenuto da Ager, al quale hanno lavorato in partnership i ricercatori delle Università di Roma “Tor Vergata”, di Udine e di Bologna.
Sostanzialmente, si tratta di una tecnologia d’avanguardia nel campo dell’economia circolare basata su specifiche “celle”, il cui principio di funzionamento è simile agli accumulatori di energia, come le batterie delle auto. La differenza è che non si esauriscono mai e forniscono energia pulita in modo continuo, con rendimenti molto elevati. Il loro cibo? Le biomasse appunto, ma non solo quelle residue dalla vinificazione, ma anche dai frantoi. E per ottenere ulteriori quantità di energia, alle biomasse è possibile miscelare acque reflue urbane, riducendone la carica organica e ottenere così un’ambita azione depurante.
Ma come funziona questa bioraffineria? E’ affidabile ed economicamente conveniente? Quali sono i vantaggi e quali invece le criticità?
A queste e altre domande rispondono Barbara Mecheri e Alessandra D’Epifanio, dell’Università di Roma “Tor Vergata”, nell’intervista realizzata in occasione di uno degli eventi divulgativi che il progetto ha organizzato in giro per l’Italia per fare conoscere alle imprese vitivinicole la nuova tecnologia.
Le interviste e altre informazioni sul progetto e i suoi risultati sono accessibili a questo link.