Nel corso del convegno internazionale IOBC-WPRS, l’Università di Udine ha presentato risultati promettenti sull’uso di Pseudomonas asplenii per contrastare la moria dell’actinidia
La moria del kiwi, oggetto di studio del progetto SOS-KIWI, è stata uno dei temi discussi durante il XVII incontro internazionale del Gruppo di Lavoro “Biological and Integrated Control of Plant Pathogens – From Single Microbes to Microbiomes Targeting One Health”, svoltosi a Torino dall’11 al 14 giugno 2025 e che ha riunito quasi 200 esperti provenienti da 27 Paesi di tutti i continenti.
L’evento ha rappresentato un’importante occasione di confronto tra ricercatori e giovani scienziati di tutto il mondo, rafforzando le reti di collaborazione e stimolando nuove sinergie tra gruppi impegnati nella protezione delle piante. Tra questi, Chiara Bernardini, giovane ricercatrice dell’Università di Udine, che ha illustrato gli importanti risultati ottenuti finora da SOS-KIWI nella ricerca di soluzioni sostenibili per questa grave sindrome, che dal 2012 sta mettendo a rischio la produzione italiana di actinidia.
Una sindrome complessa legata al clima e ai patogeni del suolo
Sebbene siano trascorsi oltre dieci anni dalle prime segnalazioni, l’eziologia della moria non è ancora del tutto chiarita. Tuttavia, le ricerche condotte finora dimostrano un forte legame tra la comparsa dei sintomi e situazioni di stress ambientale, in particolare i fenomeni di ristagno idrico sempre più frequenti a causa del cambiamento climatico.
A livello microbiologico, è stata rilevata un’associazione costante tra la sindrome e la presenza di patogeni del suolo, appartenenti in particolare ai generi Phytophthora e Phytopythium. Questi microrganismi, noti per la loro capacità di infettare le radici in condizioni di eccessiva umidità, giocano con tutta probabilità un ruolo chiave nello sviluppo della moria.
Il biocontrollo come nuova frontiera nella difesa dell’actinidia
Per valutare l’efficacia di strategie di biocontrollo, il team dell’Università di Udine ha avviato una sperimentazione innovativa utilizzando piante coltivate in suolo infetto, sottoposte a diversi trattamenti. In particolare, sono stati messi a confronto:
- tre prodotti commerciali
- tre ceppi batterici della collezione microbiologica dell’Università di Udine, tra cui Pseudomonas asplenii e due ceppi di Pseudomonas protegens
- Vermicompost (un fertilizzante naturale ottenuto dalla digestione dei lombrichi, che trasformano gli scarti alimentari in una sostanza ricca di nutrienti per il suolo)
- Fosfito di potassio
Le piante sono state sottoposte a cicli di ristagno idrico per stimolare la comparsa dei sintomi e i risultati sono stati raccolti due settimane dopo l’ultimo ciclo.
Tra i trattamenti testati, il più promettente è risultato essere lo Pseudomonas asplenii, che ha portato a una riduzione del 60% delle piante sintomatiche e a un significativo miglioramento dello stato delle radici. Effetti simili sono stati ottenuti con il fosfito di potassio, noto per la sua efficacia contro patogeni del suolo. I prodotti commerciali, pur favorendo la crescita della chioma, non hanno mostrato una reale efficacia nel contenere la sindrome.
Prossimi passi tra microbiomi e persistenza dei ceppi benefici
Il progetto SOS-KIWI proseguirà la propria attività di ricerca con analisi metagenomiche per descrivere in dettaglio il microbiota del suolo, in particolare nelle parcelle dove i trattamenti si sono dimostrati più efficaci. Parallelamente, verranno messi a punto nuovi metodi per quantificare la presenza e la persistenza dei ceppi di Pseudomonas nel tempo, per comprenderne meglio il meccanismo d’azione e la stabilità nel sistema suolo-pianta.
A cura di: Elisabetta Talevi Paletto, referente comunicazione SOS-KIWI – Università di Torino
Foto di copertina: Elisabetta Talevi Paletto