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Dal suolo al campo

SOS-KIWI fa luce sulle relazioni tra caratteristiche del suolo e moria del kiwi

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In un precedente contributo abbiamo descritto le attività in corso e i risultati ottenuti fino ad oggi dal progetto SOS-KIWI nello studio dei fattori biotici coinvolti nella moria del kiwi (Kiwifruit Vine Decline Syndrome o KVDS). In questo articolo ci concentriamo sulle ricerche dedicate all’analisi dei fattori abiotici e al loro possibile ruolo nella sindrome.

 

Il ruolo dell’ambiente nella moria del kiwi: il punto sugli studi dei fattori abiotici

 

Oltre ai microrganismi, anche l’ambiente e in particolare le caratteristiche del suolo giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo e nella diffusione della moria del kiwi. Per approfondire questo aspetto, nell’annata agraria 2024 il gruppo di ricerca dell’unità di chimica agraria dell’Università di Torino ha concentrato l’attenzione su 30 appezzamenti piemontesi coltivati ad actinidia, selezionati in base alla diversa gravità di manifestazione dei sintomi.

Numerosi studi hanno evidenziato l’importanza delle componenti “non viventi” sulla vitalità delle colture, come ad esempio l’umidità del suolo, gli sbalzi termici e la disponibilità idrica. In questo contesto, il progetto SOS-KIWI ha analizzato in dettaglio la composizione e le proprietà chimico-fisiche dei suoli.

I campioni sono stati prelevati nello strato superficiale del terreno (tra i 20 e i 60 cm di profondità), dove si concentra la maggior parte delle radici. Per ciascun campione è stata determinata la tessitura (percentuale di sabbia, limo, argilla) e lo scheletro (la frazione più grossolana del suolo, composta da ghiaia e altre particelle più grandi), insieme a parametri chiave come pH, conducibilità elettrica, contenuto di carbonio organico, azoto totale e fosforo assimilabile.

 

Dalla scoperta delle cause, nascono rimedi efficaci

 

Uno dei primi risultati emersi dalle indagini condotte riguarda la relazione tra la moria e la porosità del terreno: si è visto che le piante di actinidia cresciute in suoli più porosi, cioè con una facilitata circolazione di aria e acqua, sembrano essere meno soggette alla KVDS. Al contrario, nei suoli più compatti, caratterizzati da una densità apparente più elevata, i sintomi della moria tendono a manifestarsi in modo più marcato. Questo suggerisce che una buona aerazione e un efficace drenaggio siano condizioni chiave per la salute delle radici. Anche l’analisi granulometrica conferma questo quadro: nei terreni più colpiti si rileva una maggiore presenza di limo e argilla, a discapito della sabbia. Queste caratteristiche tendono a ridurre la porosità complessiva del suolo, creando un ambiente meno favorevole allo sviluppo radicale.

Per quanto riguarda il pH dei suoli analizzati, i valori registrati variano tra 4.5 e 7.2, con valori medi leggermente più alti nei terreni con piante sintomatiche (fino a 6.5) rispetto a quelli con piante sane (circa 6.1). Tuttavia, le differenze non risultano statisticamente significative. Lo stesso vale per la conducibilità elettrica, un parametro che riflette la quantità di sali solubili presenti nel suolo, che tende ad aumentare nei terreni colpiti, senza però fornire indicazioni definitive.

Un dato particolarmente interessante riguarda il fosforo assimilabile, che risulta significativamente più elevato nei suoli degli appezzamenti più colpiti. È possibile che questo non sia una causa diretta della malattia, ma piuttosto una conseguenza delle pratiche agronomiche, ad esempio gli agricoltori potrebbero aver aumentato le concimazioni in un tentativo di aiutare piante già sofferenti.

In generale, dai dati finora raccolti emerge che migliorare la struttura e il drenaggio del suolo può contribuire a rafforzare la resistenza delle piante alla sindrome, mentre un’elevata ricchezza di sostanza organica o nutrienti, soprattutto se instabili o non ben equilibrati, non garantisce automaticamente un effetto protettivo.

Inoltre, i ricercatori stanno indagando la possibile presenza di fenomeni di tossicità legata a microelementi, anche in piccole concentrazioni, e stanno monitorando nel tempo l’evoluzione dei sintomi nei vari appezzamenti per capire meglio come la moria si manifesta e quanto è grave nei vari contesti.

 

La ricerca in campo non si ferma

 

A supportare il lavoro degli scienziati i tecnici della Fondazione Agrion, che stanno raccogliendo dati agronomici relativi alla gestione dei campi e alle pratiche colturali adottate negli ultimi anni, utili per completare il quadro.

Nuovi campionamenti e analisi dei suoli sono previste tra fine agosto e inizio settembre 2025, per continuare a raccogliere dati e fornire ai produttori informazioni e indicazioni pratiche per contrastare la sindrome della moria del kiwi.

 

A cura di Elisabetta Talevi Paletto, referente comunicazione SOS-KIWI, Università di Torino

 

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