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Dal suolo al campo

Interdisciplinarietà nella ricerca, il caso virtuoso di SOS-KIWI

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“La collaborazione fra discipline diverse o fra settori eterogenei di una stessa scienza porta a interazioni vere e proprie, a reciproci scambi al punto da determinare mutui arricchimenti.” Questa affermazione, attribuita a Jean Piaget celebre psicologo ed epistemologo, si adatta perfettamente allo studio della moria del kiwi, una sindrome ancora poco nota ma con una certezza: si sviluppa per un insieme di cause.

SOS KIWI ha fatto propria la visione di Jean Piaget, che vede nell’interdisciplinarità lo strumento per l’arricchimento reciproco di saperi e discipline: per approfondire le dinamiche alla base della moria e comprendere il ruolo delle comunità microbiche associate alle piante di actinidia, il progetto ha avviato per la prima volta in Italia, e con successo, un coordinamento nazionale per una ricerca interdisciplinare. L’obiettivo?  Standardizzare i metodi di raccolta e analisi dei dati delle principali aree italiane coltivate ad actinidia e affette da moria.

 

Nuovi protocolli per raccogliere dati e informazioni

 

Grazie a questo coordinamento è stato definito un protocollo di raccolta e analisi dei dati che permette di ottenere risultati più precisi e mai raggiunti prima: basti pensare che le stime della composizione delle comunità microbiche del suolo possono essere notevolmente influenzate dalla tecnica di estrazione del DNA utilizzata, evidenziando una notevole difficoltà ed elevati margini di errore nel confrontare i dati generati con diverse tecniche.

L’attività è stata coordinata dall’Università Mediterranea di Reggio Calabria, svolta in collaborazione con le Università di Torino e di Udine e ha permesso di mettere a punto:

  • un protocollo standardizzato per il campionamento di suolo e radici, con una procedura uniforme anche per la preparazione dei campioni che prevede l’utilizzo della liofilizzazione, un metodo di essiccazione a freddo che consente di preservare intatte le caratteristiche del campione fino al momento delle analisi;
  • un metodo standardizzato per l’estrazione del DNA da suolo e radici, sviluppato dall’Università di Udine, che permette di ottenere campioni di alta qualità, privi di sostanze inibitorie e omogenei tra siti e matrici. Questo ha consentito di ridurre in modo significativo la variabilità e i possibili bias (ovvero gli errori sistematici che possono falsare i risultati) nelle analisi delle comunità microbiche associate alle piante di actinidia;
  • l’adozione di tecnologie di metagenomica avanzate che permettono di studiare la comunità microbica direttamente da un campione ambientale, senza la necessità di isolare e coltivare i singoli microrganismi. Queste tecnologie consentiranno di descrivere in modo dettagliato le variazioni, sia geografiche che stagionali, nella composizione e nell’abbondanza delle comunità microbiche, ritenuti dati fondamentali per individuare i principali microrganismi potenzialmente coinvolti nell’insorgenza della moria del kiwi.

 

I vantaggi dell’interdisciplinarietà

 

I primi risultati degli studi sulle comunità microbiche associate a piante di actinidia con le nuove tecnologie di metagenomica messe a punto con il protocollo hanno permesso:

  • di identificare le principali comunità microbiche presenti nelle diverse matrici (suolo, rizosfera e radici);
  • di evidenziare che l’oomicete Phytopythium vexans svolge un ruolo primario nell’insorgenza della moria del kiwi, soprattutto nelle regioni Calabria e Piemonte, come dettagliato in un nostro precedente articolo.

Questi approcci costituiscono una solida base di riferimento per i ricercatori che intendono condurre studi simili sull’actinidia o su altre specie vegetali colpite da avversità dell’apparato radicale.

 

A cura di Elisabetta Talevi Paletto, referente comunicazione SOS-KIWI, Università di Torino

Foto: gruppo dei ricercatori del progetto SOS KIWI in occasione di una visita ad un impianto di actinidia colpito da moria (Fonte archivio AGER – AGroalimentare E Ricerca)

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