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Dal suolo al campo

Lo sfruttamento della variabilità genetica del riso per un’agricoltura più sostenibile

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“Recuperare la variabilità genetica perduta durante la domesticazione del riso potrebbe essere una delle chiavi per renderne la coltivazione più sostenibile, riducendo l’uso di fertilizzanti e l’impatto ambientale.”

Lo ha spiegato Giorgia Siviero, Università del Piemonte Orientale (UPO), durante il congresso EUCARPIA, tenutosi lo scorso maggio a Coimbra, presentando alcuni risultati significativi del progetto MICRO4LIFE.


Il riso tra passato e futuro

 

Il riso è una coltura fondamentale a livello globale, sia per il suo valore economico che per il suo ruolo sociale: rappresenta infatti la base dell’alimentazione quotidiana per oltre metà della popolazione mondiale. Proprio per questa centralità, la sua coltivazione richiede particolare attenzione. Le sfide ambientali sono molteplici: l’elevato consumo idrico, le emissioni di metano e l’impiego massiccio di diserbanti, antiparassitari e fertilizzanti chimici, che a loro volta contribuiscono all’impoverimento della biodiversità microbica del suolo.

Una possibile risposta a queste problematiche ci riporta al passato, allo studio delle varietà selvatiche di riso e della loro interazione con i microrganismi benefici del suolo. In particolare, il team di ricerca dell’Università del Piemonte Orientale sta concentrando i propri studi su Oryza rufipogon, il “cugino selvatico” del riso coltivato (Oryza sativa), che conserva una ricca variabilità genetica ormai perduta nelle varietà moderne.

 

Riso selvatico e batteri alleati

 

Le ricerche condotte finora dal progetto hanno indagato il rapporto tra O. rufipogon e Kosakonia sacchari (ceppo RCA25), un batterio promotore della crescita delle piante (PGPB – Plant Growth-Promoting Bacteria) in grado di fissare l’azoto atmosferico, riducendo così la necessità di fertilizzanti chimici.

I primi risultati sono promettenti: O. rufipogon mostra una capacità di associarsi a questo batterio circa 60 volte superiore rispetto a Vialone Nano, celebre varietà italiana di riso. Un dato che apre nuove prospettive per l’agricoltura del futuro.

 

Il ruolo della genetica

 

Ma cosa rende questa varietà selvatica così predisposta all’interazione con i batteri benefici? La risposta è nella genetica. Il progetto MICRO4LIFE, insieme al team dell’UPO, lavora proprio per rispondere a questa domanda, sviluppando linee di introgressione (piante di riso geneticamente diverse tra loro) ottenute incrociando O. rufipogon con Vialone Nano.

L’obiettivo è ottenere piante che integrino nel proprio DNA porzioni del genoma selvatico, così da identificare i geni responsabili dell’associazione con Kosakonia sacchari.

I primi dati mostrano un’ampia variabilità tra le linee ottenute, a supporto del fatto che esistono diversi geni che rendono alcune piante più adatte a collaborare con questi microrganismi.

 

Uno sguardo al futuro

 

L’identificazione di questi geni rappresenta una svolta per la ricerca: potrebbe infatti aprire la strada alla selezione di varietà di riso più sostenibili, capaci di crescere con meno input chimici anche su terreni meno fertili, grazie all’aiuto dei batteri del suolo. Un passo importante verso un’agricoltura più rispettosa dell’ambiente e più resiliente ai cambiamenti climatici.

Il riso del futuro potrebbe avere radici sempre più selvatiche…e più sostenibili.

 

A cura di: Giampiero Valè, Erica Mica, Giorgia Siviero (Università del Piemonte Orientale) e Federica Tenaglia (CNR) 

 

 

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