Un approccio geograficamente ampio e integrato e che tiene conto della presenza della moria. Questo il segreto di SOS-KIWI per sviluppare strategie di difesa e gestione del problema efficaci.
L’industria del kiwi in Italia affronta varie sfide fitopatologiche che ne influenzano produttività e salute. Oggi la moria del kiwi risulta la più grave malattia con un’incidenza superiore al 25%. Questa si manifesta in modo geograficamente differente. Per studiarne le cause sono state individuate tre condizioni fitosanitarie differenti: alta, media presenza o assenza di moria (per mancanza di patogeni o condizioni ancora asintomatiche). Nei tre casi, nell’ambito del progetto SOS-KIWI si procederà al monitoraggio di: proprietà chimico-fisiche del suolo, fattori climatici, pratiche agronomiche e varietà colturali.
L’analisi del suolo fornirà dati sulla composizione del terreno, rivelando informazioni sui fattori che possono stressare le piante o influenzare le comunità microbiche presenti nella rizosfera e nelle radici.
I dati climatici, rilevati tramite datalogger e stazioni meteo, evidenzieranno come l’innalzamento delle temperature influenzano la proliferazione e differenziazione di generi fungini e oomiceti. Temperature più elevate e precipitazioni abbondanti, anche se circoscritte, possono favorire l’insorgenza di determinate specie di oomiceti che infettano le radici delle piante.
Migliori pratiche agronomiche mirano a contrastare la moria del kiwi. L’uso di prodotti chimici e i sistemi irrigui possono influenzare il microbioma del suolo e della rizosfera, rilevante nell’interazione pianta-microorganismi.
Anche la scelta delle varietà di kiwi è importante, poiché alcune, come Hayward, sono suscettibili all’anossia radicale, conseguenza del ristagno idrico.
Il confronto tra campioni di piante sintomatiche ed asintomatiche è cruciale per comprendere le differenze e individuare gli agenti patogeni associati alla malattia. È previsto un ampliamento della ricerca non solo verso gli oomiceti, principali agenti biotici responsabili della malattia, ma anche verso altri organismi fungini.
Un ulteriore strumento di ricerca prevede l’utilizzo di piante indicatrici, piante sane inserite in suoli con presenza di moria, per isolare i microrganismi all’inizio del processo infettivo, monitorare l’evoluzione nel tempo per individuare pattern di colonizzazione e correlarli alle differenze climatiche e alle proprietà del suolo.
L’identificazione di microrganismi patogeni si avvarrà di isolamento su terreni selettivi in associazione alla tecnica del baiting, una tecnica di isolamento che sfrutta la capacità degli oomiceti di nuotare e infettare esche specifiche, come frammenti di tessuti vegetali, foglie o altri materiali organici. Questo approccio standardizzato, insieme alle differenti tecniche di isolamento, può ridurre i problemi e garantire risultati più uniformi.
A cura di Elisabetta Talevi,
referente comunicazione SOS-KIWI, Università di Torino