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Dal suolo al campo

SOS-KIWI: la diagnostica molecolare in aiuto all’actinidia

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Messa a punto una tecnica di diagnostica molecolare per rilevare precocemente Phytopythium vexans, il patogeno del suolo con un ruolo primario nell’insorgenza della moria dei kiwi

 

La produzione di actinidia, una delle eccellenze frutticole italiane, è minacciata da una sindrome grave e complessa: la moria del kiwi. Da quando è apparsa nel 2012, questa problematica ha colpito duramente le coltivazioni di actinidia in diverse regioni, con un’ incidenza più elevata negli areali del Nord Italia mettendo seriamente a rischio le coltivazioni. Oltre al kiwi, questo patogeno è in grado di attaccare anche altre colture di grande rilevanza economica come il melo, il pero e la vite.

I sintomi sull’actinidia si manifestano nei mesi estivi, da giugno a ottobre. Le foglie iniziano a seccarsi e cadere precocemente, compromettendo l’attività vegetativa della pianta. I frutti smettono di crescere, l’albero si indebolisce progressivamente e spesso collassa nel giro di due anni. Il danno più grave si registra alle radici: appaiono imbrunite, marce, prive di capillizio radicale, fondamentale per l’assorbimento di acqua e nutrienti. Si osservano anche deformazioni strutturali e alterazioni nei vasi conduttori, che impediscono il normale flusso linfatico dalla radice alla chioma.


I risultati positivi della ricerca

 

Dalle precedenti e fruttuose attività di ricerca del progetto SOS-KIWI è emerso che l’oomicete Phytopythium vexans, un microrganismo patogeno del suolo difficile da individuare e ancora più difficile da contrastare, svolge un ruolo primario nell’insorgenza della moria del kiwi (qui i dettagli). Le difficoltà nel contenere l’oomicete sono correlate all’impossibilità di applicare i “metodi tradizionali”, come la fumigazione chimica del suolo, in quanto non più consentiti in Europa per ragioni ambientali. Per questo la prevenzione e la diagnosi precoce diventano strumenti fondamentali.

La buona notizia arriva dal gruppo di ricerca dell’unità di patologia vegetale dell’Università di Torino, che ha messo a punto un nuovo test molecolare rapido e preciso, capace di rilevare la presenza di P. vexans già nelle fasi iniziali dell’infezione, sia nel terreno che nelle radici delle piante.

I risultati ottenuti dimostrano la precisione e la sensibilità del test, capace di rilevare il patogeno anche quando è presente in quantità estremamente ridotte (fino a 20 femtogrammi, cioè milionesimi di miliardesimo di grammo), in campioni di suolo e radici di kiwi provenienti da impianti infetti.


I vantaggi della scoperta per la filiera dell’actinidia

 

Identificare il prima possibile la presenza di P. vexans nel terreno permette agli agricoltori di adottare tempestivamente le misure di prevenzione, ad esempio evitando il reimpianto di nuove piante in un terreno già infetto. Inoltre, il test può essere utilizzato nei vivai per garantire che le piante commercializzate siano sane, contribuendo così a ridurre la diffusione della problematica.


Perché il nuovo test del DNA è totalmente affidabile

 

Il test si basa su una tecnica chiamata qPCR (quantitative Polymerase Chain Reaction), che permette di quantificare il DNA del patogeno anche in quantità minime. A differenza dei metodi attualmente in uso, questo nuovo test si basa su un marcatore genetico mitocondriale, cioè un frammento di DNA che si trova all’interno dei mitocondri, piccoli organelli presenti in tutte le cellule vegetali e fondamentali per produrre energia. Questo marcatore funziona un po’ come un “codice identificativo” della specie: è molto utile perché cambia leggermente da un organismo all’altro. Proprio grazie a queste differenze, il test è in grado di riconoscere con grande precisione P. vexans, distinguendolo da altri microrganismi simili presenti nel suolo.


Ogni scoperta è un nuovo punto di partenza

 

Sulla base dei risultati ottenuti, l’Università di Udine sta sviluppando un analogo test molecolare per rilevare Phytophthora sojae-like, un oomicete molto diffuso negli actinidieti colpiti da moria nel nord-est d’Italia e che risulta facilmente rilevabile, probabilmente grazie alla sua elevata concentrazione a livello radicale.

Il progetto SOS-KIWI rappresenta un esempio concreto di come la ricerca scientifica possa offrire soluzioni reali e sostenibili per un’agricoltura innovativa. In un’epoca segnata dal cambiamento climatico e dalla riduzione dell’uso di fitofarmaci, disporre di strumenti diagnostici rapidi, precoci e affidabili è sempre più fondamentale per salvaguardare la produzione di actinidia, di grande rilievo per l’Italia, ma anche per la protezione di altre colture, la tutela dell’ambiente e la sicurezza agroalimentare.

 

A cura di Elisabetta Talevi Paletto, referente comunicazione SOS-KIWI, Università di Torino

Foto di copertina (fornita dall’autrice): da sinistra Elisabetta Talevi Paletto, Davide Spadaro, Athina Vasileiadou, Amedeo Berta

 

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