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Dal suolo al campo

La moria dell’actinidia non risparmia Lazio e Campania. In soccorso, le ricerche di SOS-KIWI

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Nella foto: piante di actinidia in settembre, fortemente defogliate e con frutti poco sviluppati a causa della moria (foto Ager)

Incoraggianti i primi risultati delle ricerche condotte congiuntamente dai Dipartimenti di Biologia dell’Università di Torino e di Agraria dell’Università di Napoli Federico II

 

La moria del kiwi ha colpito duramente il settore agricolo in diverse regioni italiane, tra cui Lazio e Campania. La sindrome si è manifestata a partire dal 2018 con rilevanti perdite di produzione, ad esempio nel solo 2023 c’è stata una riduzione del 37% su tutte le aree coltivate in Italia (fonti: Accademia dei Georgofili e CREA).

Le soluzioni finora proposte includono, oltre alla ricerca su nuove varietà resistenti, l’adozione di tecnologie avanzate per il monitoraggio dei suoli e una gestione più efficiente delle risorse idriche. Ma nonostante gli sforzi agronomici e tecnologici finora attuati, la diffusione della malattia non è stata fermata, portando il settore agricolo a chiedere supporti economici. Il Ministero dell’Agricoltura ha, infatti, recentemente approvato aiuti per le imprese agricole con perdite superiori al 30% nella produzione di kiwi, destinati al recupero economico e produttivo, calcolati in base alle perdite e al costo di sostituzione delle piante.

 

SOS-KIWI per correre ai ripari

 

Foglie di piante di actinidia delle prove in serra presso l’Università degli Studi di Napoli (Foto: Ida Romano, ricercatrice SOS-KIWI)

La moria del kiwi è legata a un’infezione microbica che prospera in suoli saturi d’acqua, esacerbata da piogge intense e terreni mal drenati. L’importanza di affrontare questo problema è evidente, non solo per le perdite economiche, ma anche per la minaccia che rappresenta per la biodiversità agricola. In questo contesto si inserisce il progetto SOS-KIWI, che mira a identificare biomarcatori utili per la diagnosi precoce e a definire nuove strategie di controllo e prevenzione, che prevedano anche l’utilizzo di biofertilizzanti a base microbica.

I gruppi di ricerca delle Università di Napoli Federico II e di Torino stanno concentrando le loro attività su due fronti: la selezione di microrganismi promotori della crescita vegetale e lo sviluppo di un consorzio microbico ad hoc per sostenere la pianta nella risposta contro la sindrome.

Il consorzio è stato testato in prove in serra eseguite presso l’Università di Torino. Il piano sperimentale mette a confronto diversi trattamenti: tra questi, l’inoculo con patogeno responsabile della malattia, la sommersione delle radici di actinidia per 48 ore, l’applicazione di consorzi batterici e/o micorrize al fine di valutare gli effetti sinergici o individuali dei diversi trattamenti sullo sviluppo e sulla salute delle piante.

 

Perché i primi risultati infondono coraggio

 

I risultati preliminari hanno mostrato che l’indice medio di malattia varia in modo significativo a seconda dei trattamenti e nel corso della sperimentazione. In particolare, le tesi che hanno previsto l’inoculo sia dei batteri che delle micorrize hanno mostrato una maggiore capacità di contenere la sindrome in una fase di infezione iniziale.

Ulteriori analisi permetteranno di valutare meglio l’efficacia delle formulazioni sviluppate durante il progetto con tre obiettivi:

  • capire come lo stato di salute della pianta è collegato all’attività dei suoi geni;
  • individuare i fattori chiave che influenzano la risposta alla sindrome;
  • e infine, valutare l’effetto dell’inoculo sui microrganismi presenti nel suolo.

 

A cura di Ida Romano, referente comunicazione SOS-KIWI, Università degli studi di Napoli Federico II

Sitografia: Accademia dei Georgofili, CREA 

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