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Acquacoltura, sostenibilità e innovazione: il microbioma dell’acqua può giocare un ruolo chiave

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Secondo la FAO, quasi un terzo del pesce viene attualmente pescato in contesti non normati e comunque secondo approcci che non sono biologicamente sostenibili.

L’acquacoltura è sicuramente un’alternativa più compatibile con l’ambiente. L’Italia ha investito in questo ambito, creando filiere industriali di qualità capaci di garantire prodotti buoni, sicuri e competitivi. Una delle sfide principali a cui l’acquacoltore guarda con interesse riguarda la mangimistica: ottimizzare la qualità anche guardando a nuove fonti di elementi primari come aminoacidi e micronutrienti, ridurre i costi di produzione e gli impatti ambientali. Il progetto Fine Feed For Fish (4F) si propone di far fronte a questo problema sperimentando nuovi mangimi prodotti da fonti alternative, tra cui farine a base di insetto o integrando mangimi vegetali con nutrienti primari come aminoacidi e acidi grassi a catena corta. Certamente il primo obiettivo di queste nuove formulazioni è la crescita e salubrità del pesce, ma un elemento altrettanto importante è la sostenibilità sia economico-produttiva, sia ambientale.

Il primo comparto su cui un mangime può impattare in modo negativo è l’acqua delle vasche: il rischio è di aumentare i carichi organici e comunque produrre un inquinamento chimico e microbiologico. In 4F l’Università di Milano-Bicocca è impegnata sull’analisi della qualità dell’acqua impiegata negli allevamenti, con un approccio globale e multilivello, sia per descrivere gli impatti delle diverse formulazioni mangimistiche sull’acqua, sia perché la qualità di quest’ultima è strettamente correlata con lo stato di salute del pesce.
Obiettivo finale sarà definire un Water Quality Index (WQ Index), che, abbinato al valore di “sostenibilità economica e sociale” del mangime, permetterà al mondo delle imprese di fare investimenti di trasferimento tecnologico e di scegliere la strategia migliore per l’acquacoltura del futuro. Il WQ Index deve tenere conto sia di contaminanti chimici e della loro evoluzione (degradabilità, persistenza, ecc.), sia di quelli microbiologici che sono strettamente correlati ai carichi di sostanza organica dell’acqua oltre che alle condizioni chimico-fisiche generali della vasca. È importante capire che l’impianto di acquacoltura è un vero e proprio ecosistema, dove certamente il pesce ha un ruolo primario, ma dove ci sono anche migliaia di specie microbiche che possono convivere con i pesci o che possono anche produrre infezioni. Esistono già delle normative europee che stabiliscono, per esempio, la quantità massima di determinate specie microbiche, ma in molti casi i microorganismi scelti sono le poche specie coltivabili in laboratorio o comunque quelle note e facilmente misurabili. In realtà ciò che emerge sempre più chiaramente è che ciò che può avere effetti sulla qualità e salute del pesce è giocato dal complesso dei microrganismi che vivono nell’acqua, ovvero il cosiddetto microbioma. Un punto cruciale della ricerca condotta dall’Università di Milano-Bicocca è quello di studiare il microbioma dell’acqua delle vasche di allevamento per valutare la sua evoluzione nel tempo, la risposta in seguito all’ingresso di nuovi mangimi e in ultimo gli effetti sull’ambiente e sul pesce allevato.

Grazie alle tecniche di sequenziamento massivo e parallelo del DNA di nuova generazione (High-Throughput DNA Sequencing, o più semplicemente HTS), il team di ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca ha messo a punto un sofisticato sistema che permette di raccogliere tutti i microorganismi presenti nell’acqua, di identificarli attraverso specifiche regioni del loro DNA e di conoscere la loro natura mediante analisi bioinformatiche che confrontano i frammenti di DNA sequenziati con banche dati genomiche dedicate. Pochi anni fa queste stesse ricerche hanno permesso di rilevare alcune nuove specie di microorganismi o meglio di “ultra-small bacteria” (batteri piccolissimi, di dimensioni inferiori a 0,2 micrometri) nelle acque sotterrane, anche quelle destinate al consumo umano (Bruno et al. “Exploring the under-investigated “microbial dark matter” of drinking water treatment plants.” Scientific reports 7 (2017): 44350). Per avere un’idea delle dimensioni “ultra-small” di questi microrganismi, basti pensare che il batterio Escherichia coli è circa 150 volte più grande e che la punta di un capello umano è circa 150 mila volte più grande.

Una scoperta importante che ha consentito la conoscenza di tali organismi, e di indagare il complesso ecosistema microbico dell’acqua. Sono milioni i microorganismi che possono vivere in poche gocce d’acqua e di molti di loro non sappiamo nulla, perché le tecniche di microbiologia classica non sono in grado di visualizzarli e caratterizzarli. In questo senso, il progetto 4F studia l’impatto dei nuovi mangimi sui parametri stabiliti per legge, e guardando all’ecosistema acqua, individua il rischio della comparsa e soprattutto della crescita di microorganismi pericolosi, potenzialmente capaci di formare biofilm sulle branchie o ancora di impattare negativamente sul microbioma intestinale del pesce.

L’Italia gioca un ruolo da protagonista nell’acquacoltura, al fine di garantire qualità e sicurezza al consumatore e soprattutto supportare la filiera produttiva nell’innovazione.
La correlazione tra i dati di natura microbiologica, i parametri chimico-fisici rilevati e le variabili di qualità misurate sul pesce permetterà di rispondere all’esigenza sempre più impellente di un prodotto non solo buono, ma sicuro e di elevata qualità nutrizionale, allevato in maniera responsabile e sostenibile.

 

Fonte: Flavio Orizio, Antonia Bruno, Antonella Panio e Massimo Labra, Università degli Studi Milano Bicocca

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