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I buoni risultati nascono dalla passione per la ricerca

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Il progetto SUSHIN ha identificato nuove soluzioni per l’alimentazione dei pesci allevati che migliorano la qualità del prodotto, salvaguardano il reddito degli acquacoltori, tutelano l’ambiente e la salute dei consumatori. Questi risultati sono stati raggiunti anche grazie all’impegno e alla passione di giovani ricercatori. Fabrizio Capoccioni, del Centro Zootecnia e Acquacoltura del CREA, ci racconta la sua esperienza e gli obiettivi raggiunti dal suo gruppo di ricerca a beneficio della filiera dell’acquacoltura italiana.

 

Dottor Capoccioni, uno dei principali filoni di ricerca nell’allevamento dei pesci è quello della nutrizione correlata alla sostenibilità, in particolare lo studio di nuovi mangimi: per quale motivo?

La necessità di sfamare una popolazione mondiale in continuo aumento sta causando una richiesta crescente di pesce d’allevamento, visto che l’acquacoltura è considerata, fra le attività zootecniche, quella con maggiore potenzialità di crescita e sostenibilità. Orate, trote e spigole, le specie ittiche più allevate in Italia, si alimentano con mangimi costituiti da miscele di farine proteiche ottenute in parte da specie marine e l’aumento della richiesta di pesce allevato sta innalzando i quantitativi del cosiddetto “pescato oceanico” da trasformare appunto in ingrediente per le formulazioni mangimistiche. Sul medio e lungo termine il rischio è di alterare l’equilibrio degli ecosistemi marini che già subiscono diverse pressioni ambientali e le conseguenze del cambiamento climatico globale. In questo contesto, SUSHIN si era dato l’obiettivo di trovare e testare farine proteiche alternative a quella di pesce provenienti da fonti animali e vegetali alternative, come ad esempio i sottoprodotti della macellazione avicola, gli insetti, crostacei d’acqua dolce e le microalghe.

Quale era l’ambizione del vostro gruppo di ricerca all’interno del progetto?

Come CREA, insieme all’Istituto Zooprofilattico dell’Abruzzo e del Molise, abbiamo studiato in particolare una farina ottenuta dal gambero rosso della Louisiana, una specie alloctona e invasiva ormai purtroppo ampiamente diffusa in molte regioni italiane. Il duplice obiettivo era di trasformare una minaccia in risorsa, ottenendo l’ulteriore vantaggio di limitarne l’espansione e i conseguenti effetti negativi sulle specie autoctone. In particolare, ci siamo concentrati in due zone d’Italia ad alto valore ambientale, ma con forte presenza di gambero rosso, quali il Parco Nazionale del Circeo e la Riserva Naturale Regionale Nazzano Tevere-Farfa, dove in 2 anni abbiamo catturato oltre sessantamila esemplari utili per i nostri scopi, corrispondenti a circa 900 chili.

E quali risultati avete ottenuto?

La farina di gambero rosso si è rivelata un ingrediente funzionale con caratteristiche molto interessanti: possiede infatti un’elevatissima concentrazione di astaxantina, un pigmento naturale che conferisce colorazione sia ai filetti di trota, sia alla livrea delle orate. Inoltre, ha un profilo in acidi grassi di altissima qualità caratterizzato da alti livelli di omega-3. Nei test condotti su trota e orata si è visto che non abbassa le performance di accrescimento, e non ha alterato la sicurezza alimentare dei filetti. Al momento, tuttavia, l’utilizzo di questa farina è limitato e un suo impiego su scala commerciale potrà avvenire per specifici settori, ad esempio nei mangimi di finissaggio, relativi all’ultima fase dell’ingrasso, per specie con certificazione biologica, dove nei mangimi sono ammessi solo pigmentanti naturali. Il gambero rosso è infatti una specie aliena invasiva e in Italia e in Europa non solo non è possibile allevarlo, ma è necessario mettere in atto campagne di contenimento per limitarne l’espansione. Per tale ragione, sussiste attualmente un problema logistico e di approvvigionamento della materia prima nelle quantità necessarie al settore mangimistico per avviare linee di produzione che lavorino in continuità. Non è detto che in futuro non sia possibile creare circuiti virtuosi a livello locale per utilizzare i gamberi rossi catturati ed impiegarli per l’acquacoltura. In ogni caso, siamo riusciti a dimostrare che l’impiego della farina di gambero rosso nei mangimi per pesci è sicuramente un ingrediente dalle ampie potenzialità.

L’obiettivo del progetto di trovare mangimi a base di farine proteiche alternative a quelle di pesce è stato comunque raggiunto?

Si, con grande soddisfazione posso dire che tutto il gruppo di lavoro alla fine del progetto ha raggiunto l’obiettivo tanto ambizioso quanto difficile. Grazie a un lungo lavoro di sperimentazione durato oltre tre anni, con prove sia in laboratorio che direttamente negli allevamenti, abbiamo confrontato dodici diete costituite in gran parte da farine ottenute dagli ingredienti innovativi oggetto dello studio.  Tra queste, una dieta con farine a base di sottoprodotti della produzione avicola e insetti tra loro miscelate è risultata la più adatta ai fini commerciali, in quanto è perfettamente in grado di garantire elevate performance di crescita, di palatabilità, cioè sono gradite come gusto ai pesci, e contemporaneamente non hanno mostrato alcun problema dal punto di vista gastrointestinale ed in generale per il benessere degli animali. Inoltre, è una dieta che può già essere prodotta a livello industriale sia da un punto di vista normativo, che per la sua sostenibilità economica: il mangime che abbiamo prodotto per la prova commerciale ha avuto un prezzo comparabile a quello delle diete tradizionali ad oggi in commercio e potrà  garantire comunque una redditività delle produzioni a beneficio degli acquacoltori e di conseguenza un prodotto di qualità apprezzato dai consumatori.

I produttori di mangimi, gli acquacoltori e gli interessati alle sperimentazioni sugli ingredienti innovativi di SUSHIN, dove possono trovare i risultati?

Sono diversi i risultati che abbiamo ottenuto nel corso del progetto. Moltissimi sono riportati nel sito Ager (www.progettoager.it). Per quanto riguarda, nello specifico, le caratteristiche degli ingredienti innovativi, abbiamo raggruppato in un manuale tutte le informazioni scaturite dallo studio di farine ottenute dai sottoprodotti della macellazione della filiera avicola, da microalghe e cianobatteri, da insetti e dal gambero rosso della Louisiana. Per ogni farina sono riportati la composizione chimico-nutrizionale, la digeribilità su trota e spigola e la loro sicurezza alimentare correlata alla presenza di eventuali contaminanti chimici e microbiologici.

Oltre alla nuova dieta, in perfetta sintonia con i principi della sostenibilità e dell’economia circolare, cosa lascia in eredità il progetto SUSHIN all’acquacoltura italiana?

Innanzitutto un patrimonio di nuove conoscenze scientifiche che stanno continuando a dare i loro frutti. Quando partimmo nel 2016 l’idea di utilizzare la farina di insetti per l’alimentazione dei pesci era agli albori, oggi grazie a SUSHIN è una realtà. Ad esempio, alcune ditte mangimistiche stanno iniziando ad utilizzare gli insetti nelle loro formulazioni e proprio in Italia  è nata nel 2021 una  start-up che produce mangimi a base di farine di insetti limitando l’uso  delle farina di pesce.. Il riscontro che abbiamo avuto è che i risultati di SUSHIN sono stati importanti e di ispirazione per l’avvio della start-up. Un’altra eredità del progetto sono i protocolli che abbiamo messo a punto nel gruppo di ricerca del CREA e che riguardano specifici metodi di analisi di laboratorio che oggi usiamo nella nostra attività di ricerca . Accanto a questo, il progetto ha permesso ai più qualificati gruppi di ricerca italiani in acquacoltura di dialogare tra loro e di creare una diretta collaborazione con i mangimisti, con il comune obiettivo di migliorare ulteriormente la sostenibilità dell’acquacoltura italiana. E voglio anche sottolineare il grande valore del networking tra i partner del nostro progetto, che ha creato un gruppo di lavoro davvero affiatato che sta continuando a collaborare in sinergia su nuovi progetti, producendo, ci auguriamo, nuove conoscenze utili e applicabili al settore. Ad esempio, a seguito dei dati ottenuti con SUSHIN, nel nostro Centro di Acquacoltura stiamo continuando a testare la farina di gambero rosso come ingrediente pigmentante in formulazioni adatte alla certificazione biologica per le orate. Inoltre, stiamo studiando le caratteristiche nutrizionali sia di specie vegetali, come lala Portulaca oleracea, che di specie acquatiche di basso livello trofico , i policheti marini come possibili candidati a ingredienti funzionali per la formulazione di diete sempre più ottimizzate per l’acquacoltura.

E a lei, personalmente, quale eredità lascia SUSHIN?

Dal punto di vista professionale mi ha dato davvero tanto. Nel 2017, quando il progetto iniziò, ero un giovane biologo all’inizio della carriera scientifica, con il sogno di diventare un ricercatore e contribuire alla ricerca applicata all’acquacoltura nel mio paese. Avevo allora poca esperienza ma tanta determinazione  che ho proiettata nel progetto  SUSHIN. Non posso negare che questa esperienza formativa e lavorativa è stata determinante ed ha contribuito alla mia assunzione come ricercatore  presso il Centro Zootecnia e Acquacoltura del CREA nel 2020. È proprio in questo centro dove ho condotto le mie prime attività sperimentali, acquisendo una serie di competenze che hanno arricchito la mia formazione scientifica e professionale. Per me il progetto è stato la piattaforma di lancio nel mondo della ricerca e sono uno dei tre giovani ricercatori di SUSHIN che il CREA ha ritenuto di inserire stabilmente nel proprio team. Oggi continuo a svolgere il mio lavoro con grande soddisfazione e soprattutto con tanta passione, questo desiderio irresistibile che ho di esplorare e di scoprire qualcosa di utile e che tutti i giorni alimenta la mia attività di ricercatore per contribuire a costruire un futuro migliore.

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Ulteriori approfondimenti sul progetto SUSHIN, con video e radiointerviste a Fabrizio Capoccioni, sono pubblicati sul sito del CREA al link https://acquacolturacrea.fish/413-2/  e sul sito www.progettoager.it

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