La presenza costante del pesce nella dieta potrebbe aiutare a prevenire la malattia di Parkinson (e non solo)
Presso la svedese Chalmers University of Technology di Gothenburgh, è stato recentemente scoperto che il consumo costante di pesce potrebbe prevenire la produzione di proteine strettamente associate alla malattia di Parkinson.
In Italia circa 240 mila persone soffrono di Parkinson, oltre 1,2 milioni in Europa. La patologia è caratterizzata dall’accumulo nei neuroni di placche amiloidi o senili di una proteina, chiamata Alfa-Sinucleina, detta anche “proteina di Parkinson” e di inclusioni denominate corpi di Lewy, oltre che dall’insufficiente formazione di dopamina.
In Italia circa 240 mila persone soffrono di Parkinson, oltre 1,2 milioni in Europa. La patologia è caratterizzata dall’accumulo nei neuroni di placche amiloidi o senili di una proteina, chiamata Alfa-Sinucleina, detta anche “proteina di Parkinson” e di inclusioni denominate corpi di Lewy, oltre che dall’insufficiente formazione di dopamina.
Il risultato è che tali formazioni interferiscono negativamente nella trasmissione degli impulsi nervosi.
Per contro la Parvalbumina, una proteina presente in grande quantità in numerose specie ittiche, come dimostrato dallo studio condotto a Gothenburgh su cellule nervose in coltura è in grado di catturare la “proteina di Parkinson”, bloccandola precocemente ed impedendone così l’aggregazione sui neuroni, come spiega la professoressa Pernilla Wittung-Stafshede, capo della divisione di Biologia Chimica presso la Chalmers University e principale autore dello studio. In questo modo la Parvalbumina potrebbe contribuire alla salute del sistema nervoso a lungo termine, tuttavia il condizionale è d’obbligo, in attesa di conferme da studi che dovranno essere condotti anche su modelli animali “in vivo”.
Visto che la Parvalbumina è molto abbondante in alcune specie di pesci, aumentare la quantità di pesce nella dieta potrebbe essere un modo semplice per prevenire e forse contribuire a curare la malattia di Parkinson, dal momento che come gli studi dimostrano, questa proteina riesce a superare efficientemente sia la parete dell’intestino che la barriera emato-encefalica.
In aringhe, merluzzi, carpe, scorfani, trote, pesci rossi, alcune specie di salmone e nel dentice, sono stati titolati livelli particolarmente elevati di Parvalbumina, ma questa proteina è comune anche in molte altre specie ittiche che raggiungono la nostra tavola. Apparentemente i livelli di Parvalbumina nel pesce possono variare notevolmente nel corso dell’anno e ciò fa pensare ad una influenza della dieta del pesce e comunque alle condizioni ambientali nelle quali è stato allevato o comunque è vissuto.
Secondo il co-autore nello studio Nathalie Scheers, Professore Associato presso il Dipartimento di Biologia e Ingegneria Biologica, i livelli di Parvalbumina nel pesce sembrano essere molto più elevati verso la fine dell’estate e gli autori suppongono si tratti di una conseguenza della lunga esposizione ai raggi solari. Tuttavia nei mesi estivi non è solo la radiazione solare ad essere più elevata ma tutto il metabolismo è incrementato per via della temperatura dell’acqua e, almeno per i pesci selvatici, la dieta risulta essere più abbondante e varia. Potrebbe quindi essere un più vasto assortimento di fattori ambientali ed alimentari a modulare la produzione di Parvalbumina nei pesci.
Anche altre malattie neurodegenerative, tra le quali l’Alzheimer, la SLA e la malattia di Huntington, sono causate dall’accumulo di strutture amiloidi che interferiscono con la trasmissione degli impulsi nervosi ed è possibile che anche in questi casi la Parvalbumina possa esercitare un’azione preventiva.
Anche altre malattie neurodegenerative, tra le quali l’Alzheimer, la SLA e la malattia di Huntington, sono causate dall’accumulo di strutture amiloidi che interferiscono con la trasmissione degli impulsi nervosi ed è possibile che anche in questi casi la Parvalbumina possa esercitare un’azione preventiva.
Il team svedese ritiene di fondamentale importanza proseguire queste ricerche, approfondendo lo studio degli effetti che una dieta a base di pesce potrebbe avere nella prevenzione dei disordini neurodegenerativi ed in particolare del morbo di Parkinson. Queste patologie si sviluppano con l’età e pertanto, in seguito all’allungamento della vita media, è naturale prevederne un’esplosione negli anni a venire. Per questo la scoperta del team svedese sembra particolarmente importante, sottolinea la professoressa Wittung-Stafshede.
Il legame tra un più alto consumo di pesce e salute a lungo termine del cervello è stato spesso stabilito anche da altri studi, sebbene l’interpretazione dei dati di letteratura non sia sempre univoca. Correlazioni positive tra alcune diete e riduzione della frequenza di numerose patologie degenerative, tra le quali sembrerebbe anche il morbo di Parkinson, sono riportate da vari autori, tra queste la dieta mediterranea che come è noto, prevede un importante consumo di pesce.
Non mancano tuttavia in letteratura esempi dove tali correlazioni non vengono confermate e solamente ulteriori approfondimenti sperimentali potranno dire se esista veramente un nesso di causalità.
Non mancano tuttavia in letteratura esempi dove tali correlazioni non vengono confermate e solamente ulteriori approfondimenti sperimentali potranno dire se esista veramente un nesso di causalità.
Le ricerche che hanno tra gli obiettivi l’ottimizzazione della qualità del pesce allevato, tra le quali il progetto AGER 4F, potrebbero quindi prendere in considerazione, tra i parametri da ottimizzare, anche il contenuto in Parvalbumina nel filetto di trota, spigola ed orata, pesci allevati tra i più frequentemente presenti sulle nostre tavole.
Ref.: Scientific Reports | (2018) 8:5465 | DOI:10.1038/s41598-018-23850-0 https://www.nature.com/articles/s41598-018-23850-0
A cura di Marco Saroglia e Genciana Terova