Cristina Malegori, 33 anni, una passione sfrenata per la scienza, fa parte degli oltre 500 giovani ricercatori che, grazie ad Ager, hanno acquisito competenze e conoscenze che hanno facilitato il loro ingresso nel mondo del lavoro.
Per l’esperienza maturata e per le doti comunicative, a Cristina è stato chiesto di affrontare il tema scottante delle disuguaglianze nei confronti delle donne ricercatrici in occasione del XXV Congresso Nazionale di ACRI, tenutosi ad inizio aprile a Cagliari. Nell’ intervista che segue, rilasciata ad Ager, svela alcuni retroscena della sua partecipazione, ma soprattutto condivide ulteriori riflessioni su alcuni temi fondamentali per il futuro della ricerca scientifica italiana.
Dott.ssa Malegori, per quale motivo ha accettato di portare la sua esperienza al Congresso Nazionale di ACRI?
Prima di tutto per la voglia di condividere la mia esperienza di giovane ricercatrice e le difficoltà che una laureata incontra nell’affrontare questo mestiere, augurandomi di ispirare chi, come me, è donna e vuole rimanere in Italia. Appena laureata con lode, dieci anni fa, il mio sogno era di lavorare in una Università pubblica, dove non è il profitto che comanda ma la ricerca e la trasmissione della conoscenza. Nonostante le opportunità per cambiare strada, con offerte di lavoro economicamente allettanti, e i momenti di sconforto lungo il percorso, sono riuscita nel mio intento e da due anni sono ricercatrice a tempo determinato presso il Dipartimento di Farmacia dell’Università di Genova.
Cos’è che le ha dato la carica e ha permesso di superare le difficoltà che ha incontrato?
Sicuramente la curiosità e la determinazione che mi accompagnano fin da bambina e la voglia di trasmettere ciò che ho appreso durante la mia attività di studio e di ricerca alle nuove generazioni, a giovani studenti che, come me non molti anni fa, vedono nella conoscenza la chiave per il loro futuro. Condividere questa visione con altri colleghi giovani ricercatori e docenti rende l’ambiente in cui vivo molto attivo e stimolante, difficile da abbandonare.
Quali sono i buchi neri della ricerca in Italia?
Come si discuteva al Congresso, la mancanza di una stabilità socio-politica non aiuta nessun settore economico e ancor meno la ricerca, una attività che non dovrebbe solo aiutare ad affrontare una emergenza, come è stato encomiabilmente fatto per il Covid-19, ma deve lavorare per il futuro cercando di spingersi verso l’ignoto e imboccando, a volte, percorsi accidentati e strade senza uscita.
Quando si parla di futuro, ricerca e innovazione penso sia evidente che un contributo giovane possa fare la differenza e quindi, secondo me, è fondamentale assicurare ai giovani ricercatori lo spazio che meritano, tenendo in considerazione le loro proposte e le idee innovative che portano nella realizzazione dei progetti e all’interno dell’ambiente di lavoro.
Inoltre, tra i principali buchi neri della ricerca italiana, ci tengo a citare anche la mancanza di stabilità professionale, che mette i bastoni tra le ruote a chi vive di ricerca, e quindi di precarietà, e vuole costruire qualcosa anche al di fuori delle mura universitarie.
Un suo suggerimento?
Ritengo urgente la necessità di avere a livello nazionale una programmazione della ricerca a lungo termine, pianificando per tempo le risorse finanziarie. Solo in questo modo, a mio avviso, sarà possibile tenersi stretti e far crescere i giovani ricercatori italiani, evitando che scappino dal nostro paese, e chi lo sa, magari attirare anche ottimi ricercatori dall’estero!
Ha mai pensato di abbandonare l’Italia e rimanere all’estero in pianta stabile?
Ho avuto diverse offerte di lavoro dall’estero e la possibilità di partecipare a programmi di ricerca e formazione europei, che spesso prevedono di lasciare la propria nazione, ma ho rinunciato in quanto la mia aspirazione è sempre stata di rimanere in Italia. Questo non solo perché desidero rimanere in una nazione in cui posso parlare la mia lingua e di cui conosco a fondo usi e costumi, ma soprattutto perché è in Italia che mi sono formata e quindi ora tocca a me restituire ciò che mi è stato regalato sostenendo lo sviluppo del mio paese e del mio territorio.
Cosa cambierebbe nel mondo della ricerca?
Ciò su cui penso che si debba ancora lavorare è l’attuale sistema di valutazione dei ricercatori e dell’Università. È qualcosa di nuovo per l’Italia, inserito solo a fine anni 2000 che ha portato ad un innegabile innalzamento delle performance dei nostri Atenei, distribuendo i fondi per la ricerca in modo molto più meritocratico. Con il procedere degli anni però, il rischio è, a mio avviso, di fossilizzarsi su valutazioni basate esclusivamente su indici numerici, quali il numero di pubblicazioni, di citazioni e altri indici da essi derivati, perdendo di vista l’obiettivo ultimo della ricerca e cioè acquisire nuove conoscenze. Il risultato della ricerca non può, e non deve, essere inteso solo in termini di vantaggio per la carriera del ricercatore o per la valutazione dell’ente a cui è affiliato ma dovrebbe avere delle ricadute a breve o a lungo termine sulla società.
Potrebbe farci qualche esempio in particolare?
Parlo, ad esempio, dell’attività di public engagement per coniugare gli interessi della ricerca con quelli di cittadini, imprese, policy maker e con gli altri attori della società. Nel progetto VIOLIN, finanziato da Ager e finalizzato alla valorizzazione dell’olio extravergine di oliva italiano, come gruppo di ricerca dell’Università di Genova abbiamo partecipato ad un network tra ricercatori di molte Università italiane e stakeholders, intesi come gli utilizzatori finali dei risultati ottenuti con le nostre attività di ricerca. Inoltre, abbiamo partecipato al Festival della Scienza di Genova con un laboratorio dal titolo “Liscio come l’olio? L’incontro tra olio e onde per svelarne i segreti”, al fine di far conoscere le ricerche del progetto e la loro utilità a tutti i cittadini, a partire dai più piccoli. Chiaramente queste attività di condivisione di ricerche e risultati sottraggono risorse da tutto il resto e quello delle risorse, tempo e personale dedicato in particolare, è per i ricercatori di oggi un vero problema, visto l’impegno che ci richiedono didattica, nuove progettualità e organizzazione del lavoro. Ma per l’impatto che ha, ritengo sia fondamentale creare ponti che colleghino chi crea innovazione e chi la deve utilizzare.
A conclusione della sua esperienza di ricercatrice di un progetto Ager, che consiglio si sente di dare alle Fondazioni che sostengono la ricerca scientifica?
Le Fondazioni svolgono un ruolo molto importante in quanto vanno a colmare, con la logica della sussidiarietà, fabbisogni di ricerca che altrimenti non sarebbero soddisfatti. Le vedo pronte per promuovere e favorire quel cambio di paradigma che vede la premialità della ricerca basata non solamente sul numero di pubblicazioni, ma adottando l’approccio che si sta cercando di affermare da alcuni anni anche a livello europeo e che valuta l’impatto che la ricerca ha sulla vita delle persone per migliorare la società, con un approccio inclusivo e partecipativo. Se posso, alle Fondazioni suggerisco di continuare a sostenere i giovani ricercatori, frenando la fuga senza ritorno dei cervelli italiani. Io avevo un sogno e si è avverato…ed è l’augurio che faccio a tutte le giovani ricercatrici e i giovani ricercatori in giro per il mondo.
Cristina Malegori ha scelto di lavorare presso il Dipartimento di Farmacia dell’Università di Genova e si occupa di tecniche innovative basate su analisi ottiche non distruttive ed elaborazione statistica dei segnali strumentali. Anche grazie ad AGER è ricercatrice a tempo determinato e ha ottenuto l’abilitazione scientifica nazionale (ASN) per la qualifica a Professore di II fascia, con un profilo universitario che di norma si raggiunge anche oltre i 40 anni. Nell’ambito della chimica analitica è tra le ricercatrici più giovani a livello nazionale e ha maturato competenze e professionalità che le sono riconosciute a livello internazionale anche con numerosi inviti per partecipare a congressi internazionali per presentare i risultati delle proprie ricerche, a cui dedica tanto tempo e passione.
La registrazione della testimonianza di Cristina Malegori al XXV Congresso ACRI è fruibile al seguente link https://www.youtube.com/watch?v=SQhyEjO-HNU&t=23081s