Nel mondo, il latte rappresenta ancora oggi un alimento cardine della dieta. Nonostante ciò, il dibattito tra sostenitori e detrattori del consumo di latte e derivati è costantemente sotto i riflettori mediatici. Negli ultimi anni ha suscitato interesse tra consumatori e nutrizionisti il potenziale effetto positivo sulla salute umana determinato dal consumo di latte vaccino contenente la sola variante genetica A2 della beta-caseina. Ma quali sono le attuali evidenze scientifiche a favore del consumo del cosiddetto latte tipo A2? Ce lo spiega Ivano De Noni, professore associato presso il Dipartimento di Scienze per gli Alimenti, la Nutrizione e l’Ambiente dell’Università degli Studi di Milano (UNIMI).
Professor De Noni quando nasce l’attenzione nei confronti del latte tipo A2?
Verso la fine del secolo scorso, quando alcuni dati epidemiologici indicavano la tendenza allo sviluppo di diabete di tipo 1 in bambini che, originari di isole minori dell’arcipelago neozelandese, si trasferivano nelle due isole principali della Nuova Zelanda. La curiosità nei confronti di questi dati portò ad indagare i possibili fattori coinvolti, includendo il potenziale ruolo dell’alimentazione e dei prodotti lattiero-caseari. Fino a scoprire che le vacche delle isole minori e quindi il latte e derivati fino ad allora consumati dai bambini, presentavano un genotipo beta-caseinico di tipo A2, diverso da quello delle vacche presenti nelle due isole maggiori che includeva anche la variante A1. Seguirono numerosi studi volti ad evidenziare la possibile correlazione tra genotipo beta-caseinico A1 e l’insorgenza o il peggioramento di alcune patologie non trasmissibili. In realtà, gli studi si concentrarono su un particolare peptide rilasciato in maggior quantità dalla variante A1 rispetto alla A2 durante la digestione gastrointestinale di latte e derivati. Questo peptide, noto già dagli anni Ottanta, è denominato beta casomorfina-7 (BCM7), nome che rimanda alla sua principale e più studiata attività biologica, quella oppioide-agonista. A questo peptide è stato imputato un effetto negativo sull’organismo umano, nonostante evidenze scientifiche discordanti. Di fatto, almeno all’inizio, la commercializzazione del latte tipo A2 fu supportata a livello mediatico da supposti vantaggi nutrizionali.
Il latte A2 ha destato lo stesso interesse in Italia?
In realtà no, solo da alcuni anni si è manifestato un vero e proprio interesse a vari livelli della filiera latte italiana. Questa attenzione è peraltro oggi meno motivata, visto che nel 2009 un panel EFSA, di cui ho fatto parte, ha pubblicato un report che stabiliva chiaramente l’assenza di correlazione tra ingestione di latte e derivati contenenti la variante A1 della beta-caseina e attività biologiche negative sull’uomo. Un report che ancora oggi può essere considerato il riferimento scientifico sui potenziali effetti biologici sull’uomo della BCM7.
Quali studi sono stati effettuati nell’ambito del progetto FARM-INN e quali i risultati?
Nell’ambito del progetto FARM-INN, abbiamo valutato il rilascio di BCM7 simulando “in vitro” la digestione gastrointestinale di latte vaccino contenente la variante A1 o A2. I dati ottenuti hanno evidenziato il rilascio del peptide sia dal latte tipo A1 che da quello A2, anche se la quantità di BCM7 liberata dal primo è risultata maggiore. Questi risultati confermano evidenze più o meno recenti derivanti da altri analoghi studi scientifici. È chiaro che gli studi “in vivo” sono cosa diversa, ma ad oggi non esistono evidenze scientifiche a supporto di un effetto negativo sull’organismo del latte prodotto da animali con genotipo A1. Possiamo solo riaffermare quanto già riportato nel report EFSA del 2009, ossia che le uniche evidenze a vantaggio del consumo di latte vaccino tipo A2 sono legate a un minor rilascio di BCM7 durante la digestione gastrointestinale, effetto che determina un minor rallentamento della motilità intestinale rispetto al latte tipo A1.
Cosa pensa dell’aspetto commerciale legato al latte A2?
Mi sorprende che questo tema in Italia sia di attualità solo adesso, quando invece il latte di tipo A2 viene commercializzato nel mondo da oltre 20 anni. Oggi molti allevatori selezionano vacche con genotipo A2, ma non bisogna dimenticare che il latte prodotto in Italia viene prevalentemente destinato alla produzione di formaggi. L’attenzione, quindi, dovrebbe essere rivolta anche agli effetti di questa variante beta-caseinica sulla qualità casearia del latte. Al riguardo, gli studi condotti sempre nell’ambito del Progetto FARM-INN hanno dimostrato caratteristiche peggiorative. Su queste basi, la selezione del bestiame a favore del genotipo beta-caseinico A2 rimane discutibile da un punto di vista tecnologico oltre che, come precedentemente detto, anche da un punto di vista nutrizionale.
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Per informazioni:
Ivano De Noni – Professore associato, Dipartimento di Scienze per gli Alimenti, la Nutrizione e l’Ambiente dell’Università degli Studi di Milano (UNIMI)
https://www.youtube.com/watch?v=6y0LSsF17CU&list=PL3-UB9FXG3FdelbusoYbkl9vJtcW5ET5u&index=50
https://www.youtube.com/watch?v=QDquWqMkIFU&list=PL3-UB9FXG3FdelbusoYbkl9vJtcW5ET5u&index=37
A cura di Federica Tenaglia, Dipartimento di Scienze Bio-Agroalimentari – Consiglio Nazionale delle Ricerche
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