Product, Price, Place and Promotion sono le cosiddette 4P rese celebri da Jerome McCarthy grazie al suo testo Basic Marketing: “A Managerial Approach”.
A distanza di 60 anni, nonostante le profonde evoluzioni che hanno caratterizzato le teorie di Marketing, le 4P continuano ad essere il pilastro del marketing mix (l’insieme degli strumenti utilizzati dalle imprese per raggiungere il mercato) e la base indiscussa del marketing operativo.
Tra le 4 leve prima citate, il prezzo rappresenta un elemento fondamentale: è l’unica leva del marketing mix in grado di generare direttamente i ricavi dell’impresa ed è anche l’unico elemento del marketing operativo su cui l’imprenditore ha pieno ed immediato controllo. Fissare correttamente il prezzo di un prodotto significa determinare il successo delle strategie di impresa e garantire creazione di valore capace di tradursi in redditi adeguati per i produttori agricoli e per i trasformatori di materia prima (come ad esempio i caseifici).
Il punto critico nella fissazione dei prezzi di vendita è che molto spesso le imprese, soprattutto le più piccole e meno attrezzate sul piano della conoscenza del marketing, adottano tecniche poco efficaci ed ancor meno efficienti. Spesso queste imprese agiscono per imitazione, allineandosi ai prezzi medi vigenti sul mercato oppure si limitano ad applicare un piccolo margine sui costi di produzione in modo da consentire, eventualmente, la possibilità di profitto positivo.
Purtroppo però questa modalità così “elementare” di fissazione del prezzo di vendita spesso non riesce a soddisfare le aspettative dei produttori, che con impegno e passione difendono ed accrescono la qualità dei loro prodotti. E questo specialmente nel caso di piccole produzioni di eccellenza, come ad esempio quelle delle aziende agricole di montagna.
Ma quali elementi vanno considerati e a quali tecniche bisogna ricorrere per aiutare le imprese nella fissazione del prezzo? Per dare risposta a queste domande, i ricercatori del progetto IALS utilizzeranno il metodo delle “aste sperimentali” al fine di determinare un prezzo di vendita che sia il più appetibile per il consumatore e il più remunerativo per il produttore. Rispetto ai tradizionali metodi di ricerca di mercato, nelle aste sperimentali i consumatori sono coinvolti direttamente in transazioni reali e potranno acquistare direttamente i prodotti oggetto dell’asta, in questo caso formaggi e latticini di alcune aziende agricole della Val d’Ossola, territorio di intervento di IALS. Il meccanismo d’asta scelto per l’esperimento è di tipo BDM (dal nome dei tre scienziati che hanno utilizzato per primi questa tecnica nel 1964, Becker, DeGroot e Marschak). Le aste saranno svolte online utilizzando una piattaforma innovativa che permetterà al team di ricerca di ottenere risultati da un campione rappresentativo italiano e, al contempo, di mantenere il massimo rigore scientifico. Attualmente, presso il Laboratorio di Statistica del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Napoli Federico II che condurrà l’esperimento, sono in corso delle sessioni di prova per individuare eventuali punti critici del disegno sperimentale.
Utilizzando questi approcci sarà quindi possibile misurare con grande precisione le intenzioni di acquisto dei consumatori e soprattutto raccogliere dati sulle massime disponibilità a pagare che rappresentano l’elemento fondamentale su cui incardinare la determinazione del prezzo di vendita. Le aste sperimentali consentono inoltre di osservare e valutare l’influenza di specifici fattori attitudinali e sociodemografici che possono aiutare nella determinazione delle reali disponibilità a pagare e ad individuare e caratterizzare le nicchie di consumatori verso cui indirizzare mirate campagne di marketing.
Gli strumenti scientifici previsti per l’analisi delle preferenze dei consumatori, la determinazione delle massime disponibilità a pagare e dei principali fattori attitudinali e sociodemografici in grado di determinarle, sono stati scelti nell’ambito dell’economia sperimentale, un’affascinante metodologia di analisi che, con un procedimento proprio delle scienze naturali, si avvale di esperimenti controllati, progettati scientificamente, in condizioni di laboratorio o sul campo. Tradizionalmente, la teoria economica è stata considerata una scienza non sperimentale (come la meteorologia o l’astronomia), in cui la valutazione empirica delle predizioni teoriche poteva unicamente basarsi su dati provenienti da mercati naturalmente esistenti, ovvero sulla diretta osservazione del mondo reale, e non su dati creati in condizioni controllate di laboratorio come per altre scienze (ad esempio per la chimica o la fisica). L’utilizzo di dati generati in condizioni controllate per la valutazione sistematica di teorie economiche ha avuto uno sviluppo relativamente recente (intorno agli anni ’50) e si è affermato come una componente vitale della ricerca economica, rivestendo un ruolo fondamentale nel colmare quel vuoto tra “mondo della teoria”, dove l’economista mantiene costante tutto ciò che desidera (coeteris paribus) e il “mondo della realtà”, dove questo non è possibile. Come in altre scienze, l’applicazione della metodologia sperimentale ha permesso di superare gli ostacoli legati all’utilizzo dei dati provenienti da mercati naturali.
Nel corso della sua evoluzione l’economia sperimentale ha generato modelli e tecniche sempre più raffinati e complessi, dai modelli di scelta (Choice models) alle aste sperimentali (Experimental auctions), per arrivare alle aste BDM (Becker-Degroot-Marshack), queste ultime come detto applicate nel progetto IALS.
A cura di Fabio Verneau e Mario Amato
Dipartimento di Scienze Politiche, Università degli Studi di Napoli Federico II