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SI PUO’ FARE!

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Saranno la qualità degli insilati e un’attenta prevenzione nelle fasi di alimentazione e mungitura a ridurre i difetti di stagionatura dei formaggi a pasta dura. Lo confermano i risultati del progetto INNOVAMILK ottenuti nella filiera del Grana Padano DOP, come ci illustra in questa intervista il professor Giorgio Borreani dell’Università di Torino.

 

IL PROBLEMA

 

Professor Borreani, i difetti di stagionatura dei formaggi a pasta dura, quali il gonfiore tardivo e le spaccature, sono ancora il tallone di Achille dei caseifici italiani: come mai?

Come sappiamo, uno degli obiettivi dei caseifici che producono formaggi a lunga conservazione è quello di ridurre al minimo i difetti di stagionatura dovuti alla presenza nel latte di spore di batteri anaerobi (detti “sporigeni”). Tali batteri sono presenti naturalmente nell’ambiente, in particolare nei suoli agrari, e durante la raccolta possono contaminare gli alimenti zootecnici (insilati e fieni) per l’alimentazione delle vacche da latte. Le spore ingerite dagli animali mantengono la loro vitalità e arrivano attraverso le deiezioni nelle lettiere in stalla e vanno a diretto contatto con le mammelle. Durante la mungitura le spore passano nel latte, in maniera più o meno rilevante, in funzione del livello di contaminazione delle mammelle e di azioni di pulizia e igiene attuate in stalla. Per ridurre la loro presenza nel latte di massa aziendale, la pulizia delle mammelle durante la mungitura ha un ruolo chiave, ma non sempre questa modalità di prevenzione è ancora sufficiente a ridurre i rischio di passaggio delle spore nel latte. Per questo, con la nostra ricerca abbiamo concentrato gli studi sulla contaminazione da spore anaerobiche degli alimenti zootecnici e l’influenza delle pratiche di igiene in stalla e durante la mungitura. Particolare attenzione è stata rivolta alla qualità microbiologica degli insilati, che se non ben prodotti e gestiti possono contribuire ad aumentare il rischio di contaminazione da spore.

 

LE SOLUZIONI DELLA RICERCA

 

Quali sono i risultati ottenuti?

Abbiamo rilevato che non sono gli insilati di per se a creare le condizioni per l’aumento delle spore nel latte di stalla, ma è la loro qualità. In particolare, sono gli insilati che hanno dei fenomeni di deterioramento aerobico, legati alla non corretta compattazione, gestione delle coperture e adeguata cura durante la fase di consumo, ad aumentare enormemente il rischio di contaminazione da spore nel latte. Infatti pochi chilogrammi di insilato deteriorato in una razione di vacche da latte possono contaminare alcuni quintali di razione aumentando di oltre 100 volte il loro contenuto nella razione unifeed. Ad esempio, 4 chilogrammi di un insilato deteriorato (che può contenere circa 125.000 spore/g) possono contaminare 100 chilogrammi di razione miscelata con insilato ben conservato (che contiene circa 25 spore/g) portando ad oltre 5000 spore/g nell’unifeed finito per gli animali, a fronte di una contaminazione inferiore a 1000 spore/g attesa per ridurre al minimo il rischio di difetti in stagionatura nei formaggi prodotti.

 

LE APPLICAZIONI PRATICHE NEGLI ALLEVAMENTI

 

Per gli allevatori come si traducono questi risultati dal punto di vista pratico?

Da una parte ribadiamo che attraverso la tecnica dell’insilamento è possibile ottenere dei foraggi e concentrati di alto valore nutrizionale che contribuiscono a ridurre i costi di produzione, i consumi di energia non rinnovabile e conseguentemente gli impatti ambientali di produzione del latte. Però, per poter ottenere questi risultati è assolutamente necessario fare attenzione alla qualità microbiologica degli insilati e prevenirne il deterioramento attraverso una corretta gestione e applicando tutte le tecniche oggi disponibili per contenere lo sviluppo di muffe e lieviti, facendo attenzione in particolare alle parti periferiche della trincea o del silos che contiene l’insilato. Infatti, le nostre ricerche hanno confermato essere quelle a più alto rischio di deterioramento aerobico e conseguentemente di aumento del contenuto di spore di clostridi. Dai dati che abbiamo raccolto ed elaborato, per azzerare il rischio di difetti durante la stagionatura di formaggi a pasta dura, occorre produrre insilati con meno di 200 spore/grammo per avere unifeed con meno di 1000 spore/g e, allo stesso tempo, mantenere il massimo livello di igiene durante la mungitura. In questo modo, è stato osservato nelle diverse aziende studiate che è possibile avere un latte di massa con contaminazioni inferiori alle 100 spore/litro di latte. Con tali livelli di contaminazione è possibile gestire la caseificazione riducendo al minimo i rischi di gonfiore tardivo dei formaggi senza l’impiego di alcun coadiuvante.

Le 100 spore per litro di latte crudo sono un traguardo raggiungibile dalle aziende zootecniche?

La risposta è sì. Negli ultimi anni il mio gruppo di ricerca sulla foraggicoltura dell’Università di Torino, anche grazie al progetto INNOVAMILK sostenuto da AGER, ha monitorato la qualità microbiologica del latte di massa di oltre 200 aziende zootecniche tra il  Piemonte e la Lombardia aderenti al Consorzio del Grana Padano DOP. In questo campione di aziende è risultato che il 44% rispetta il valore soglia delle 100 spore/litro e si sale al 75% delle aziende se si considera come soglia le 300 spore/litro. Il dato è molto interessante e rilevante, in quanto dieci anni fa erano numeri impensabili e per questo risultato mi complimento con gli operatori della filiera lattiero-casearia. Ma non bisogna dormire sugli allori e grazie alla ricerca e alla collaborazione con la filiera dobbiamo recuperare quel 25% di aziende zootecniche il cui latte crudo va ben oltre le 300 spore/litro.

 

LE APPLICAZIONI PRATICHE NEI CASEIFICI

 

Nel suo intervento di presentazione dei risultati finali del progetto INNOVAMILK ha raccontato con soddisfazione che un caseificio della filiera del Grana Padano DOP ha prodotto formaggi da latte aziendale senza lisozima: qual è il segreto? 

Anche questo è un grande risultato, in quanto per la prima volta in Italia siamo riusciti a dimostrare che è possibile produrre formaggi stagionati a fini commerciali, e non sperimentali, senza utilizzare il lisozima per controllare le fermentazioni indesiderate e lo sviluppo di batteri sporigeni caseificando latte proveniente da aziende che fanno largo uso di insilati di mais e altri foraggi prativi (es. erba medica, prati stabili ecc.). Si tratta di una prova condotta all’interno di un caseificio e che ha previsto l’impiego di latte con numeri di spore per litro attestati attorno alle 100 unità, pur con qualche punta vicino alle 300 unità. Durante la stagionatura abbiamo visto che nessuna forma ha manifestato difetti di gonfiore o spaccature. Pertanto, con una buona qualità microbiologica degli insilati e curando con attenzione l’igiene delle mammelle durante la mungitura è possibile ridurre drasticamente i difetti di stagionatura.

Quali risultati avete ottenuto per innovare i processi produttivi all’interno dei caseifici al fine di contrastare i difetti di stagionatura?

Per due anni abbiamo monitorato i quantitativi e il numero di spore per litro del latte crudo conferito da quindici diverse aziende zootecniche che il caseificio come da consuetudine miscelava, indistintamente dalla stalla di provenienza, e trasformava in Grana Padano DOP. I dati hanno evidenziato che due aziende conferenti che contribuivano per circa il 9% del latte con valori medi di 1.000 spore/litro, determinavano circa il 44% del numero di spore anaerobiche presenti nel latte conferito dalle quindici aziende. Questo dimostra la necessità che tutte le aziende che conferiscono ad un caseificio adottino le innovazioni e la cura nella produzione degli insilati, nella gestione delle cuccette e nell’igiene di mungitura per poter avere delle partite di latte che azzerino il rischio di gonfiore tardivo nei formaggi a lunga conservazione.

 

LA RICERCA DEL FUTURO

 

Quali sono le nuove frontiere della ricerca per contrastare i batteri sporigeni?

I batteri sporigeni stanno diventando il problema numero uno nel mondo, in particolare i “batteri emergenti” che stanno creando sempre più problemi, anche in altre filiere quai quelle del latte UHT in quanto le spore di questi batteri sono resistenti alle alte temperature. Altri effetti sono la riduzione della shelf-life del latte e sono talmente impattanti che riescono addirittura a corrodere nel tempo l’acciaio degli impianti industriali per la lavorazione del latte. Anche per questi motivi, la ricerca ha davanti molte sfide da vincere, per cui al momento la prevenzione in stalla, attraverso il controllo della qualità microbiologica degli insilati e un’elevata igiene delle mammelle durante la mungitura, rimane fondamentale per contrastare l’insorgere dei difetti di stagionatura.

 


Per ulteriori approfondimenti è disponibile QUI l’intervento del professor Borreani durante la presentazione dei risultati del progetto INNOVAMILK alla Fiera Agricola Zootecnica Italiana di Montichiari (Brescia).


 

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